Katholika’s Newsletter
Katholika’s Newsletter
Quegli equivoci che nuocciono alla “Messa di sempre”
0:00
-9:57

Quegli equivoci che nuocciono alla “Messa di sempre”

La storia recente della liturgia antica presenta un quadro altalenante.

Una definizione amata dai fedeli dell’antica liturgia che presta però il fianco al rischio di difenderla con ragioni sbagliate. Qualche criterio per intenderla rettamente senza alimentare le accuse di contrapposizione.

di P. Riccardo Barile OP (2 luglio 2025)

Quanti praticano il VO (Vetus Ordo, la Messa “prima del concilio”) dovrebbero avere in testa e nel cuore alcune valutazioni di fondo per vivere più correttamente questa esperienza, sia per evitare di difendere l’indifendibile o difenderlo con ragioni non valide, sia per un salutare rapporto di mutuo influsso con il Novus Ordo, cioè la Messa e la pastorale oggi correnti, sia per non essere «trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14). Propongo alcune valutazioni, ovviamente discutibili, che potrebbero essere cinque, iniziando per ora dalla prima e fondamentale.

La Messa in VO è “la Messa di sempre”, spesso si dice e si scrive. No! Non c’è espressione più equivoca di questa e, per certi versi, anche sbagliata. Vediamo perché.

Se ci poniamo dal punto di vista del rito, si notano agli inizi diversità ed evoluzioni. Addirittura alcune formule molto classiche furono introdotte con un certo ritardo, come il Sanctus, che comparve in Oriente verso il sec. IV e in Occidente verso il sec. V, oppure l’Agnus Dei, introdotto nella liturgia di Roma da papa Sergio I († 701). In questo senso la Messa in VO non è “la Messa di sempre”.
Disponiamo di una prima descrizione della Eucaristia in san Giustino († 166) in Apologia I,65-67. A parte la preziosa annotazione: «questo cibo è chiamato da noi “eucaristia”» e noi lo assumiamo «non come pane comune né come comune bevanda», ma come «ci fu insegnato essere carne e sangue del Gesù incarnato» (I,66,1-2), il testo è abbastanza avaro di descrizioni rituali. Prevede sull’altare/mensa tre coppe - pane, acqua e vino misto ad acqua -, la preghiera dei fedeli – poi caduta in disuso – e circa la Preghiera eucaristica così si esprime: colui che presiede «per quanto gli è possibile, innalza preghiere e ringraziamenti e il popolo acclama pronunciando l’Amen» (I,67,5). L’attuale Messa in VO non è esattamente così!

La Tradizione Apostolica (sec. III) ci tramanda il testo di una Preghiera eucaristica che, con modifiche, è servita di modello alla attuale seconda Preghiera eucaristica. Tuttavia il vescovo non deve sforzarsi di ripeterla a memoria, ma «preghi piuttosto secondo le proprie capacità (secundum suam potestate unusquisque oret)», anche se ovviamente la sua preghiera deve essere «corretta e conforme all’ortodossia (tantum oret quod sanum est in orthodoxia)» (c. 9). Questo formulare la Preghiera eucaristica da parte del vescovo “così come può” è un criterio che è all’antitesi delle prescrizioni rituali e dello “spirito” dell’attuale Messa in VO, che in tal caso non può essere “la Messa di sempre”.

Con l’Ordo I (fine sec. VII / inizio sec. VIII) disponiamo di una descrizione minuziosa della messa papale: è un rito complessissimo con molti ministri e popolo, non comporta l’elevazione e le genuflessioni, addirittura prevede che prima della comunione un ministro si accosti al papa per ricevere i nomi degli invitati a pranzo e comunicarli immediatamente agli interessati e contemporaneamente la stessa scena con il vicedominus (una sorta di segretario di stato) e i suoi invitati (nn. 98-99). Impensabile una scena del genere nella Messa in VO, anche in forma solenne!

Invece il modello rituale dell’odierna Messa in VO incomincia con l’Ordo Missae secondo la Curia Romana nel sec. XIII.

Il papa non può celebrare tutti i giorni una Messa ritualmente solenne, per cui si costituisce un rito più breve che, con qualche ritocco, sarà il Messale tridentino di san Pio V del 1570 e con qualche altro ritocco il Messale di Giovanni XXIII del 1962, attualmente in uso per chi pratica il VO. All’inizio questa Messa è celebrata nel Sancta Sanctorum del Laterano, residenza dei papi sino al 1309, cioè sino all’esilio avignonese, un’area quadrata il cui pavimento misura più o meno 7 metri per lato. La struttura base del rito è la Messa semplice di un solo sacerdote, con aggiunte qua e là in caso di Messa conventuale o Messa solenne; non si menzionano l’omelia, la preghiera dei fedeli, la comunione dei fedeli. I Francescani adottarono e diffusero questa Messa – non i Domenicani che elaborarono un loro rito –, che divenne comune in tutta la Chiesa latina. Inutile descriverla perché sostanzialmente corrisponde all’attuale VO.

Se, al di là dei precedenti storici del rito, ci si pone al livello della comunicazione, l’espressione “la Messa di sempre” risulta problematica.
Infatti, come spesso viene pronunciata da chi è convinto e come viene intesa da chi magari è lontano o polemico, lascia intendere che la Messa nata dalla riforma liturgica e attualmente in uso... non sia la Messa di sempre! E se la Messa attuale non è la Messa di sempre è una Messa falsa, o non tradizionale, o per lo meno deviante. Ciò probabilmente il più delle volte non è inteso da quanti pronunciamo questa espressione, ma il più delle volte è ciò che viene recepito dai destinatari al di fuori del giro.

Sarà utile tener presente due citazioni che sanciscono che anche quella uscita dalla riforma del Vaticano II è “la Messa di sempre”.

Il card. Giuseppe Siri († 1989), sollecitato a farsi quasi capofila di una cordata di contestazione al nuovo rito della Messa, così rispose (proprio lui, il principe dei tradizionalisti!): «Il Novus Ordo non può essere multato di eresia. Il potere col quale san Pio V ha fissata la sua riforma liturgica è lo stesso potere di Paolo VI. L’aver riformato l’ordo implica la sua sostituzione all’antico. Noi dobbiamo obbedire. Ci sono questioni ben più gravi nella Chiesa: questa non ha rilevanza alcuna» (Lettera a R. Bellowood del 6.9.1982 in: Nicla Buonasorte, Siri Tradizione e Novecento. Il Mulino, Bologna 2006, p. 341).
A sua volta Papa Ratzinger, nella Lettera del 7.7.2007 che accompagnava il motu proprio Summorum Pontificum – in cui aveva solennemente ribadito che l’attuale Messale è la forma ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino –, precisò ulteriormente che «per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso» (EV 24/1134).
Dunque “la Messa di sempre” è garantita dalla continuità del carisma/potere dei Pontefici che hanno approvato le diverse forme rituali e quelle in vigore esigono non solo un atto di obbedienza, ma di comunione partecipativa.

In conclusione, qualificare l’odierno VO come “la Messa di sempre” è assolutamente sbagliato? No, assolutamente parlando ci può essere un senso accettabile. La prima condizione è che con “la Messa di sempre” non si intenda indicare una stretta continuità storica/rituale, ma nell’attuale VO questa continuità parta dal sec. XIII, cioè dall’Ordo della Messa secondo la Curia Romana.
Scartato il concetto di una identità storica/rituale, la seconda condizione è di lasciar intendere che anche la Messa uscita dalla riforma liturgica dopo il Vaticano II è “la Messa di sempre” per le ragioni indicate poco sopra.
La terza condizione è che con il VO come “Messa di sempre” si intenda sottolineare una più intensa continuità con una forma di accostamento a Dio e celebrazione dei misteri in fondo comune a Oriente e Occidente nell’antichità e anche nel secondo millennio e che si riscontra un po’ meno nella Messa riformata dopo il Vaticano II e che è una delle ragioni per mantenere in vita – per ora – il VO.
Ma è chiaro che quelli di cui sopra sono dei concetti rarefatti e delle sottili distinzioni che nel linguaggio comune anche ecclesiale abitualmente non vengono percepiti, per cui l’espressione viene fatalmente intesa nel suo senso contrappositivo e peggiore. Per cui, per la buona salute dell’attuale VO, è meglio non usare una simile espressione. Coraggio, ci sono altre quattro valutazioni. Alla prossima.

LA NUOVA BQ

Discussione su questo episodio

Avatar di User