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Padre Olszewski, la Procura polacca vuole privarlo dell’avvocato
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Padre Olszewski, la Procura polacca vuole privarlo dell’avvocato

Dopo la liberazione dietro cauzione, padre Michał Olszewski è stato nuovamente attaccato dai media mainstream.

Dopo la liberazione dietro cauzione, padre Michał Olszewski è stato nuovamente attaccato dai media mainstream. Il suo legale, Krzysztof Wąsowski, smonta le accuse di Gazeta Wyborcza. Ma ora la Procura, con un cavillo, tenta addirittura di privare il sacerdote del suo avvocato difensore.

di Wlodzimierz Redzioch (8 novembre 2024)

Da quando padre Michał Olszewski è stato arrestato e tenuto in carcere senza processo per sette lunghi mesi, la Nuova Bussola Quotidiana ha sensibilizzato l’opinione pubblica in Italia sul vergognoso caso di persecuzione politica nella Polonia di Tusk. Finalmente, il 25 ottobre padre Michał è stato rilasciato dopo il pagamento di una consistente cauzione richiesta dal giudice. Appena liberato, il sacerdote ha voluto ringraziare tutte le persone che in Polonia, ma anche in Italia, hanno seguito il suo doloroso caso, si sono battute per la sua liberazione e hanno pregato per lui. Sulla pagina della Fondazione Profeto da lui diretta è apparso un suo commovente testo: «Grazie per ogni preghiera, per ogni Padre Nostro e Ave Maria! Per ogni messaggio o lettera inviata al centro di detenzione. Grazie di cuore. Ogni giorno ho sentito la forza della vostra presenza spirituale. Grazie, anche se questa parola non può esprimere la gratitudine che ho nel cuore».

Padre Olszewski ha ringraziato la sua famiglia, i confratelli dehoniani e i collaboratori della Fondazione Profeto. Ma in particolar modo ha voluto ringraziare i media. Si può presumere che avesse in mente i media che hanno voluto onestamente occuparsi del suo caso a differenza dei media mainstream che hanno scatenato la caccia alle streghe contro di lui.

Vale la pena ricordare che il caso di padre Olszewski riguarda la costruzione del centro “Arcipelago – Isole libere da violenza” destinato ad aiutare le persone in situazioni economiche difficili, socialmente escluse e vittime di violenza e crimini; centro che viene finanziato principalmente dal Fondo Giustizia gestito dal Ministero della Giustizia. L'accusa principale mossa dalla Procura a padre Olszewski è che la Fondazione Profeto ha partecipato ad un concorso per un contributo economico assegnato dal Ministero della Giustizia e non avrebbe dovuto farlo perché fornita di «troppa poca esperienza» nella gestione di questo tipo di centri; aggiungiamo che nessuna organizzazione in Polonia ha tale esperienza, poiché si tratta del primo progetto di questo tipo nel Paese. L’accusa appare tanto più assurda se si tiene conto che la costruzione del centro Arcipelago è quasi ultimata. I Pm sostengono inoltre che la fondazione gestita dal sacerdote non avrebbe dovuto vincere il concorso per questo contributo: evidentemente, nella Polonia di Tusk un sacerdote, un ente ecclesiale non dovrebbe ottenere fondi statali.

Negli ultimi quattro anni, da quando è stato lanciato il progetto Arcipelago, padre Olszewski è stato attaccato dai media; negli ultimi sei mesi prima del suo arresto, c’era già una campagna politica contro di lui e contro l’intero progetto del Fondo Giustizia. È stato un vero e proprio linciaggio tramite i media che hanno emesso la loro condanna senza processo, ancora prima dell’arresto. La situazione si è ripetuta dopo la liberazione del sacerdote: Gazeta Wyborcza (“La Gazzetta Elettorale”), il principale giornale anticlericale e antipatriottico in Polonia, ha pubblicato un menzognero articolo con false accuse. Si è sostenuto che padre Michał abbia usato, per le spese private, parte del denaro ricevuto dal Fondo Giustizia per la Fondazione Profeto: «Sono stati spesi milioni in attrezzature per la produzione televisiva e per calzini (sic!)», ha affermato il giornale. In relazione all’articolo, l’avvocato Krzysztof Wąsowski, difensore del sacerdote, ha rilasciato una dichiarazione per rispetto, come ha detto lui stesso, verso i lettori di Gazeta Wyborcza che non meritano di essere informati male e anche perché preoccupato per la credibilità dei media che citano le false «rivelazioni» del giornale. «Nessun denaro dal conto della Fondazione Profeto è andato alle spese private di padre Michał Olszewski. I pagamenti con carta di credito “nei negozi, ristoranti, alberghi e per i biglietti (treno, aereo)” non erano collegati al conto bancario della Fondazione», ha scritto l’avvocato. Ha spiegato anche l’inconsistenza delle accuse legate al «business dei calzini» che riguarda una normale collaborazione nell'ambito delle attività imprenditoriali della Fondazione Profeto con la società Many Mornings e non ha nulla a che fare con il progetto realizzato dalla Fondazione Profeto (progetto Arcipelago).

Purtroppo in questi giorni è successo un altro fatto gravissimo: la Procura vorrebbe privare padre Olszewski della difesa esercitando delle pressioni sull’avvocato Wąsowski. Di che cosa si tratta? Piotr Woźniak, uno dei procuratori, ha spedito all’avvocato Wąsowski una lettera nella quale ricorda la decisione della Corte di Varsavia, con la quale il giudice ha vietato a padre Olszewski, dopo la sua liberazione, contatti con altri "testimoni" del caso. E il procuratore Woźniak ha stabilito arbitrariamente che l’avvocato Wąsowski è testimone in questo procedimento. In risposta, il difensore ha ricordato al procuratore cosa dice la legge: «Gli avvocati difensori (...) non possono essere interrogati come testimoni. Pertanto nessun avvocato difensore in un dato caso può essere testimone». Wąsowski solleva anche un altro importante argomento, cioè il fatto che la Procura nazionale non l’abbia interrogato come testimone prima di arrestare padre Olszewski. «Questo comportamento della Procura rafforza la mia impressione che in questo caso non si trattasse di ottenere da me dichiarazioni particolarmente importanti come testimone in questa indagine, ma di escludermi dalla mia attività di avvocato difensore in questo caso», argomenta Wąsowski.

L’avvocato considera la lettera del procuratore come «un'ingerenza senza precedenti, non autorizzata e ingiustificata, un’ingerenza eccessiva nell'attuazione del diritto costituzionale alla difesa. (…) Per questo motivo, sono costretto a notificare il contenuto della nostra corrispondenza al collegio giudicante della Corte d'appello di Varsavia (…), a tutti i difensori, al decano del Consiglio dell'Ordine degli avvocati distrettuale, al presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati, al Difensore civico e alle pertinenti istituzioni nazionali e internazionali».

Nella Polonia del primo ministro Donald Tusk e del ministro della Giustizia, Adam Bodnar, le azioni della Procura che attaccano la difesa dell’indagato costituiscono una chiara violazione dei suoi diritti umani costituzionalmente garantiti perché si tratta di un evidente tentativo di privarlo del diritto di difendersi. Il caso di padre Michał Olszewski è una cartina di tornasole che aiuterà a capire se la Polonia è ancora una democrazia o se sta virando verso pericolose forme di autoritarismo.

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