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"Vattene, Satana!"
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"Vattene, Satana!"

Se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.

I Domenica di Quaresima (Anno C) – 9 marzo 2025

Dt 26,4-10; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13

di don Ambrogio Clavadei

Come sempre la prima domenica di Quaresima ci presenta le tentazioni di Gesù che digiuna per quaranta giorni nel deserto. Gesù si immedesima in quella condizione pellegrinante che è stata per quarant’anni la situazione del popolo ebraico il quale durante tutto quel tempo è stato soggetto a diverse tentazioni; infatti il cammino verso la terra promessa era lungo e duro e in alcune occasioni sembrava che Dio non fosse più presente ai bisogni e alle attese del popolo. Esempio supremo il ritardo di Mosè nel discendere dall’Oreb e la tentazione sostitutiva del dio vero con l’idolatrico vitello d’oro: “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!” (Es 32, 4). Visto che Dio sembrava non interessarsi più a loro, fecero un dio (un idolo) che soddisfacesse quel bisogno di protezione di cui sentivano la necessità per non restare soli e abbandonati nel deserto.

Questo atteggiamento dice una cosa chiara che fa inesorabilmente parte della storia dell’uomo e che è tutta un cammino verso la definitiva terra promessa della felicità eterna di Dio: ogni uomo – poco o tanto – fa il proprio interesse e, di conseguenza, tanto più quegli insiemi di uomini che si chiamano popoli e nazioni, quale che sia la radice storica e culturale del loro aggregarsi. Per questo interesse, che nelle sue infinite varianti esplicite o implicite ha sempre il suo centro nel trovare soluzione al proprio bisogno di destino, l’uomo è pronto ad abbandonare anche il vero Dio, o perlomeno la sua autentica ricerca e, di conseguenza, quelle conseguenze etiche che ne derivano a partire da quelle inscritte nella nostra coscienza. In questo senso ha ragione il salmo: “Ho detto con sgomento: «Ogni uomo è inganno»” (Sal 115, 11). Dunque anche tu che lo dici e te ne lamenti!

Alla luce di questo, che cosa sono le tentazioni del diavolo se non l’insinuazione a Gesù che solo il suo maligno intervento può soddisfare i suoi interessi, a partire da quelli più elementari e materiali (trasformare la pietra in pane) a quelli più vasti per estendere la sua regalità su tutto il mondo, fino a quello più sublime di porre un segno convincente della sua divinità? Ebbene, ogni volta la risposta di Gesù dimostra che il suo solo interesse è quello di fare l’interesse di un Altro (il Padre) cioè di quel Dio che ha sempre fatto lungo la storia della salvezza l’interesse del suo popolo, offrendo sostegno e un indirizzo etico confacente al rapporto con lui: “Sta scritto …”, È stato detto …”. Per questo il pio ebreo dovrà riconoscere che Dio si è davvero preso cura del suo interesse, visto che ha raggiunto la terra promessa e che dunque ora può offrirne le primizie, pronunciando quel Credo che riassume in breve l’itinerario salvifico con cui Dio, a partire dall’originario sempre incerto nomadismo dei patriarchi (Abramo, Giacobbe …), lo ha condotto sino alla felice stabilità attuale: “Mio padre era un Araméo errante …”. Gesù, nel quale si riassume e si compie la vera pietà dell’antico popolo, confessa ora davanti al diavolo, “padre della menzogna” (Gv 8, 44), il Credo centrale della sua fede: “Mio cibo è fare la volontà di colui [il Padre] che mi ha mandato” (Gv 4, 34). Quel Credo che ora è anche il nostro: “Io credo in Dio, Padre onnipotente …” (Credo Apostolico) ed è anche la nostra suprema preghiera, specialmente di fronte agli assalti del tentatore: “Padre nostro … fa’ che non siamo indotti in tentazione, ma liberaci dal maligno”.

Cristo, ponendosi con questa sua fede di fronte alla tentazione di conseguire il proprio fondamentale interesse (dare salvezza al mondo), ha così inaugurato un nuovo cammino nel deserto della storia umana: il tempo della gratuità, quella rinuncia a soddisfare i propri interessi secondo la sempre ingannevole e istintiva tentazione di distogliersi da Colui che solo può intervenire per soddisfare con verità le attese dell’uomo e che consente poi alla gratuità di trasformarsi in carità (etica perfetta), in quella carità che è il dono di sé senza pretese, quella carità – dono di sé commosso, ha scritto don L. Giussani – che Cristo dimostrerà dando la sua vita per noi sulla Croce e nella quale viene soddisfatto quel supremo interesse dell’uomo che è la propria salvezza: “se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso”.

Ora, noi, nuovo Popolo di Dio, siamo chiamati a seguire questo cammino di gratuità e di carità, indicando a tutti gli altri popoli che solo così l’uomo troverà soluzione per i propri interessi e bisogni. A che serve soddisfare la propria fame, possedere il mondo, cercare la propria divinizzazione (che pure è inscritta nella possibilità della nostra natura chiamata alla figliolanza divina), se le modalità per conseguire tutto questo scaturiscono da quel fondamentale inganno che sin dalle origini si è dimostrato velenoso per l’uomo, distorcendo – come poi con Gesù – le parole di Dio? : “Il serpente … disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male»” (Gn 3, 1-5). “Fate dunque il vostro interesse!” dice il serpente. Ecco il primo inganno e la matrice di ogni successivo inganno.

Siamo in un momento della storia nel quale più che mai si confrontano gli interessi ingannevoli e contrapposti dei popoli, interessi che rischiano di sfociare nella guerra totale più omicida della storia, un conflitto che tanto farebbe piacere a colui che “fu omicida sin dal principio” (Gv 8, 44). È allora più che mai necessario che questi interessi limitati o, peggio, perversi, si confrontino con quella che dovrebbe essere l’interessante proposta di Cristo, interessante proprio perché scevra di ogni interesse, e che la Chiesa è chiamata a testimoniare.

Sembra questo un confronto ìmpari di fronte alla potenza di fuoco del nemico, ma “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi” (Rm 8, 31)? Ce lo ricorda a chiare lettere il salmo responsoriale: “Calpesterai leoni e vipere, schiaccerai leoncelli e draghi … Mi invocherà e io gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso” (Sal 90 [91]).

Possiamo allora con speranza e pace offrire ogni giorno per questo arduo combattimento della fede la nostra vita a Dio, soprattutto perché nutriti e sostenuti da quei doni della nostra fatica quotidiana che – eucaristicamente consacrati – ci offrono la pregustazione dei frutti di felicità eterna di quel Paradiso, definitiva Terra Promessa, verso cui camminiamo:

“Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: / dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, / frutto della terra e del lavoro dell’uomo; / lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: / dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, / frutto della terra, e del lavoro dell’uomo; / lo presentiamo a te, perché diventi per noi bevanda di salvezza” (Offertorio – Preparazione dei doni).

(sabinopaciolla.com)

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